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Il metodo d’urto (shock method)


CONTENUTI:

  1. Nascita, definizione e caratteristiche del metodo d’urto
  2. L’energia cinetica come mezzo di stimolazione neuromuscolare
  3. Gli effetti allenanti del metodo d’urto
  4. Il depth jump
  5. Esercizi per gli arti superiori eseguiti secondo il metodo d’urto
  1. Nascita, definizione e caratteristiche del metodo d’urto

La formulazione del metodo d’urto alla fine degli anni Cinquanta appartiene a Yuri Verkhoshansky. A differenza dei classici esercizi pliometrici come il salto verticale con contromovimento (countermovement jump – CMJ), negli gli esercizi eseguiti secondo il metodo d’urto, la rapida fase di allungamento muscolare non è volontaria, ma viene causata dal violento impatto con l’oggetto o con il suolo.

 Figura 1 – fasi degli esercizi pliometrici classici

 Figura 2 – fasi degli esercizi eseguiti secondo il metodo d’urto

Se l’altezza di caduta è adeguata, l’impatto provoca un altezza di salto o di lancio superiore a quella ottenibile con salti e lanci con contromovimento e con un minor tempo di contatto con l’oggetto o con il suolo. Ciò è un enorme vantaggio per l’atleta, il cui obiettivo è di applicare più forza in meno tempo (più potenza).

La collisione tra il corpo e un oggetto esterno provoca degli effetti anche a livello neuromuscolare. Il nostro sistema nervoso possiede dei meccanismi di protezione che vengono attivati in situazioni di pericolo. Quando cadiamo o dobbiamo intercettare un oggetto che ci cade addosso o ci viene lanciato, i nostri muscoli vengono già attivati dal sistema nervoso che rileva una situazione di pericolo, potenziando la contrazione muscolare successiva all’impatto. Ciò aggiunge un ulteriore tassello al modello a due fattori del ciclo allungamento-accorciamento ed è il motivo per cui i tempi di accoppiamento sono inferiori e l’altezza di lancio o salto superiori rispetto alla pliometria classica.

 Figura 3 – modello del ciclo allungamento-accorciamento e metodo d’urto

  1. L’energia cinetica come mezzo di stimolazione neuromuscolare

Il metodo d’urto sfrutta l’energia cinetica accumulata durante la caduta. Per la legge di conservazione dell’energia meccanica, l’energia cinetica di un corpo che impatta il suolo dopo una caduta è uguale all’energia potenziale dello stesso quando è fermo a un’altezza h dal suolo. L’energia potenziale ha la seguente formula:

U = mgh

Essendo g costante (9,81m/s²), è possibile stimolare il sistema nervoso dell’atleta modificando la sua massa, tramite un sovraccarico, o l’altezza di caduta.

2.1. Quale delle due variabili incide maggiormente sull’altezza di salto/lancio?

Verkhoshansky eseguì due esperimenti per studiare meglio la relazione tra altezza di salto/lancio, la massa del corpo/oggetto e l’altezza di caduta.

Nel primo, gli atleti, in posizione supina, hanno eseguito una spinta unilaterale tramite un macchinario guidato con quattro carichi differenti (2, 4, 6 e 8 kg) che cadono da altezze crescenti fino a 3 metri. I risultati sono riassunti di seguito:

  1. All’aumentare del carico, l’altezza di lancio diminuisce;
  2. All’aumentare dell’altezza di caduta, l’altezza di lancio aumenta progressivamente fino a un picco, per poi diminuire;
  3. In corrispondenza della massima altezza di lancio, il tempo di accoppiamento tra contrazione eccentrica e concentrica è minimo.

Alcuni atleti hanno però ottenuto dei risultati migliori con carichi maggiori, per cui si suppone che l’abilità reattiva di un atleta si manifesta al meglio quando il carico è simile a quello utilizzato in competizione.

Nel secondo studio, quattro gruppi di atleti di atletica leggera (saltatori, velocisti, lanciatori e mezzofondisti) hanno svolto sei salti: salto con contromovimento e depth jump da 40 cm a corpo libero e con l’aggiunta di 10, 20, 30 e 40 kg. Tutti gli atleti hanno ottenuto la massima altezza di salto nella condizione a corpo libero, a eccezione dei mezzofondisti che l’hanno ottenuta nel salto con contromovimento; questi ultimi eseguivano pochissimi esercizi pliometrici e mai esercizi con bilanciere.

I risultati di questo esperimento, congiuntamente con quelli del precedente, dimostrano che aumentare l’altezza di caduta piuttosto che la massa va a migliorare l’esito degli esercizi eseguiti tramite il metodo d’urto. Ma fino a che punto?

2.2. Come cambiano l’altezza di salto e altre variabili con l’aumentare dell’altezza di caduta?

In altro esperimento, alcuni atleti di alto livello eseguirono diversi depth jump da altezze crescenti. Come nel primo studio, l’altezza di salto aumenta progressivamente con l’aumentare dell’altezza di caduta fino a un picco, per poi decrescere. Per questi atleti, all’altezza ottimale (75 cm) corrispondono anche il più alto valore di potenza espressa e il tempo di contatto al suolo più breve.

Nonostante ciò, il picco di forza è stato raggiunto con altezze superiori: circa 110 cm, modificando anche visivamente l’esercizio. Il tempo di contatto al suolo aumenta a tal punto che è possibile distinguere due esercizi eseguiti in successione: l’atterraggio e il salto verticale.

3. Gli effetti allenanti del metodo d’urto

Gli esercizi eseguiti secondo il metodo d’urto permettono di avere un risultato migliore, in termini di prestazione, rispetto agli esercizi pliometrici tradizionali.

A questo rimangono due quesiti a cui rispondere:

  1. Il metodo d’urto produce effetti allenanti dopo un periodo di allenamento?
  2. Quali effetti allenanti produce il metodo d’urto rispetto ad altri metodi di allenamento?

3.1. Il metodo d’urto produce effetti allenanti dopo un periodo di allenamento?

Tramite il macchinario guidato citato nel primo studio al paragrafo 2.1, alcuni atleti hanno eseguito dei lanci da altezze di caduta differenti (50-200 cm) con carichi diversi (2-8 kg); l’allenamento è stato eseguito due volte a settimana per quattro settimane. Prima e dopo l’intervento, gli atleti sono stati testati e i seguenti parametri sono stati registrati:

  • l’altezza di lancio di un carico da 6 kg dopo una caduta da varie altezze (0-3 metri);
  • la curva spazio-tempo della mano in contatto con il carico.

Gli atleti hanno non solo migliorato l’altezza del lancio a tutte le altezze di caduta, ma la massima altezza di lancio è avvenuta con l’oggetto che cadeva da un’altezza maggiore. Questo significa che il carico di allenamento che prima faceva diminuire il risultato, dopo l’intervento è diventato lo stimolo che lo incrementa.

Inoltre, l’intervallo di movimento e di tempo per intercettare e lanciare il carico sono diminuiti.

3.2. Quali effetti allenanti produce il metodo d’urto rispetto ad altri metodi di allenamento?

Due gruppi di pesisti si sono allenati per tre settimane. Il primo gruppo eseguiva squat pesanti e depth jump, il secondo squat pesanti e esercizi di salto. Dopo l’intervento, il primo gruppo ha aumentato i propri livelli di forza massima ed esplosiva in misura maggiore rispetto al secondo gruppo nonostante avesse eseguito un minor volume di allenamento.

Il metodo d’urto risulta quindi superiore alla pliometria tradizionale per il miglioramento della forza esplosiva. Gli adattamenti a questo metodo di allenamento (maggiore reclutamento e sincronizzazione delle unità motorie) comportano anche un netto incremento dei livelli di forza massima. Ciò può essere molto utile in sport che richiedono livelli di forza assoluta superiori alla media.

4. Il depth jump

Il depth jump rappresenta l’esercizio cardine del metodo d’urto. Bisogna specificare che questo mezzo di allenamento non va assolutamente proposto ad atleti principianti. Prima che un atleta possa eseguire efficacemente e in sicurezza il metodo d’urto, deve prima raggiungere una condizione fisica per cui i metodi tradizionali non comportino ulteriori benefici. In caso contrario sarebbe come far guidare una Ferrari a neopatentato.

4.1. La corretta esecuzione del depth jump

L’attrezzatura richiesta è poca ed economica:

  • plinti di varie altezze
  • pavimento gommato
  • oggetto da cercare di toccare con la mano dopo il salto

Il depth jump può essere suddiviso in diverse fasi.

La caduta

L’atleta, in posizione eretta con lo sguardo rivolto in avanti, esegue un passo al di fuori del plinto. È importante che la caduta inizi alla stessa altezza del plinto, altrimenti si andrà a modificare un parametro allenante; quindi bisogna evitare di eseguire un salto dal plinto o, al contrario, di collassare verso il suolo.

durante la caduta l’atleta deve mantenere la postura eretta con gli arti inferiori estesi e gli arti superiori dietro alla linea del busto pronti per lo slancio successivo.

L’atleta non deve contrarre né rilassare eccessivamente i muscoli in questa fase.

L’impatto al suolo e il contromovimento involontario

L’atterraggio deve avvenire su tutti e due i piedi, in particolare prima sugli avampiedi e poi sui talloni. Il contrario sarebbe deleterio sia per la sicurezza dell’atleta, sia per la prestazione: l’eccessivo impatto sul calcagno potrebbe creare danni ai tessuti, inoltre non si sfrutterebbero le proprietà elastiche del complesso della caviglia. Un atterraggio rigido farebbe gravare tutto il carico su legamenti e articolazioni, per cui deve essere morbido ed elastico per sfruttare al meglio la componente muscolare: il grado di flessione di anche, ginocchia e caviglie è marcato (l’obiettivo è di saltare il più in alto possibile).

Durante questa fase gli arti superiori continuano l’estensione.

La spinta e la fase di volo

L’atleta cerca di esplodere verso l’alto cercando, se presente, di toccare un oggetto posto ad un’altezza ai limiti delle capacità di salto del soggetto e aiutandosi con un rapido slancio verso l’alto degli arti superiori.

Il salto deve essere per lo più verticale: un minimo spostamento in avanti è consentito visto che durante la caduta dal plinto si accumula anche velocità orizzontale.

L’atterraggio

Atterrare in maniera corretta permette di non sovraccaricare ulteriormente l’atleta. Questo deve avvenire su entrambi i piedi e con un grado di flessione degli arti inferiori accentuato in modo da ammortizzare meglio le forze d’impatto.

4.2. Varianti del depth jump

Il depth jump può essere eseguito in vari modi per ottenere adattamenti unici in base alla disciplina sportiva praticata.

Anziché eseguire il salto verso l’alto, saltare in avanti può essere più specifico per gli sport caratterizzati da accelerazioni e cambi di direzione.

Con la dovuta preparazione, il depth jump può essere eseguito anche a gamba singola, sia in elevazione che in avanzamento.

Nelle varianti in avanzamento, può essere utile eseguire dei salti multipli dopo il primo impatto al suolo: sia ricercando la distanza maggiore, sia con l’ausilio di ostacoli.

4.3. Programmare il depth jump

Altezza di caduta

Il depth jump va eseguito dall’altezza ottimale in base all’obiettivo dell’allenamento:

  • per la forza reattiva utilizzare l’altezza di caduta che permette il massimo valore di forza reattiva (RSI = altezza di salto / tempo di contatto al suolo), senza però snaturare l’esercizio: l’obiettivo deve essere il salto più alto possibile;
  • per la forza esplosiva si utilizza l’altezza di caduta che permette la massima altezza di salto;
  • per la forza massima un’altezza del 40-45% superiore alla precedente.

Tutte queste altezze possono essere trovate tramite un singolo test ad altezze di caduta incrementali.

Numero delle ripetizioni

Verkhoshansky consiglia 10 ripetizioni per serie, ma i suoi esperimenti prevedevano la partecipazione unicamente di atleti d’élite i quali hanno la capacità di sopportare volumi maggiori. Una linea generale è quindi quella di eseguire dalle 3 alle 10 ripetizioni per serie, come per gli altri esercizi pliometrici. In ogni caso, quando la prestazione peggiora sensibilmente bisogna interrompere la serie e recuperare. Utilizzare dei cluster set può essere utile per diminuire la fatica e sostenere un volume maggiore (esempio: in una serie da 6 ripetizioni, eseguirle a gruppi di 3 recuperando 30 secondi tra i cluster).

Numero delle serie

Verkhoshansky consiglia di eseguire 4 serie da 10 ripetizioni e nei programmi di allenamento pubblicati non va mai oltre questi valori.

Nella pratica quotidiana il numero di serie per esercizio è dettato anche dal tempo che si ha a disposizione con l’atleta. Nella maggioranza dei casi tra le 2 e le 4 serie sono ottimali, ma per chi ha più tempo consiglierei di ridurre il numero di ripetizioni per serie aumentando le serie fino a 10.

 Recupero tra le serie

Il recupero tra le serie è libero: l’atleta esegue la serie successiva quando si sente pronto; questo accade sempre dopo 2 minuti di recupero, anche se l’ideale è tra i 3 e i 5 minuti.

Frequenza settimanale

Per gli atleti che si approcciano per la prima volta al metodo d’urto, una frequenza di due volte a settimana è più che sufficiente. Anche in atleti avanzati non bisogna mai superare i tre allenamenti settimanali in quanto il sistema nervoso ha bisogno di recuperare per almeno 48h.

4.4. Periodizzare il depth jump

Il depth jump non può essere eseguito per tutto il periodo preparatorio, ma va inserito nei periodi di preparazione speciale e saltuariamente durante il periodo competitivo (massimo una volta a settimana).

In base al tempo disponibile per ultimare il periodo preparatorio, l’allenamento verrà periodizzato in maniera differente.

Nel caso si abbiano a disposizione poche settimane di lavoro (4 settimane), è bene utilizzare il metodo misto, ossia l’esecuzione contemporanea di differenti metodi di allenamento come il metodo degli sforzi massimali e il metodo d’urto. Ciò comporta un rapido incremento del potenziale motorio dell’atleta, il quale però non può mantenerlo per le settimane successive.

Nel caso si disponga di diversi mesi per preparare l’atleta alla competizione, è meglio utilizzare quello che Verkhoshansky definisce il conjugate-sequence system, ossia la sequenzialità dei metodi di allenamento (esempio: esercizi di salto, back squat pesante, depth jump). Questo non significa che i blocchi di lavoro siano separati fra di loro nettamente, ma deve esserci una gradualità nel passaggio tra una fase e quella successiva.

5. Esercizi per gli arti superiori eseguiti secondo il metodo d’urto

Gli esercizi per la forza esplosiva degli arti superiori sono meno utilizzati rispetto a quelli per gli arti inferiori, ma la loro presenza risulta di fondamentale importanza in sport come pallavolo, pallanuoto, pallamano, baseball, ecc…

Verkhoshansky utilizzava speciali macchinari per far eseguire gli esercizi per gli arti superiori secondo il metodo d’urto.

Non essendo disponibili nella quasi totalità degli impianti sportivi o delle palestre, bisogna cercare di trovare soluzioni efficaci e sicure. Queste sono il multipower e le palle mediche.

Al multipower possono essere eseguiti in sicurezza gli esercizi di spinta dal petto secondo il metodo d’urto ed è anche abbastanza semplice misurare l’altezza di caduta e di lancio grazie ai pioli di bloccaggio presenti per tutta l’altezza della struttura.

Con le palle mediche si può invece eseguire ogni genere di esercizio: dai lanci dal petto e sopra la testa a qualsiasi tipologia di lancio rotazionale. Basterà semplicemente farsi aiutare da un compagno che lascerà cadere o lancerà la palla medica da una determinata altezza. Ovviamente non si potranno utilizzare altezze importanti come negli studi di Verkhoshansky a causa della libertà di movimento dell’attrezzo.

FONTI UTILIZZATE PER QUESTO POST
  • Haff, G. and Triplett, T. (2016). Essentials of Strength Training and Conditioning. Human Kinetics.
  • Verkhoshansky, N. (2012). Shock Method and Plyometrics: Updates and an In-Depth Examination. Central Virginia Sports Performance.
  • Verkhoshansky, Y. (2018). Shock Method. Verkhoshansky SSTM.
  • Verkhoshansky, Y. and Verkhoshansky, N. (2011). Special Strength Training: Manual for Coaches. Verkhoshansky SSTM.